La mostra di William Kentridge a Londra | Artribune

2022-11-01 14:19:06 By : Mr. David Gong

Intreccia storia e uno sguardo personale sul mondo la pratica di William Kentridge, al centro della grande mostra che gli dedica la Royal Academy of Arts di Londra

La prima mostra dedicata dalla Royal Academy of Arts di Londra a William Kentridge (Johannesburg, 1955), ripercorre gli ultimi quarant’anni della sua carriera attraverso media differenti. Scenari che svelano con crudezza la società africana destabilizzata dal dopo Apartheid, frantumata dai conflitti sociali, sopraffatta dalle speculazioni economiche e stritolata dall’informazione e dal potere. Un palinsesto naturale della pratica poliedrica dell’artista, ove storia, memoria e politica si sovrappongono, animandosi in narrative rilette e corrette continuamente dall’artista. Ad esempio nei disegni a carboncino in bianco e nero usa il simbolismo per presentare le molteplici realtà del Sudafrica. Per Kentridge il disegno è un processo di rivisitazione costante, una versione al rallentatore del suo pensiero critico. Immagini brutali, animali, paesaggi e alberi che creano una collisione frenetica tra sogni e segni, il cui significato non è facilmente interpretabile dallo spettatore. Ci si trova immersi in un mondo straniante: la donna con la iena (Untitled, Woman and Hyena, 1986), il facocero con la collana (Warthog and Necklace, 1985), i randlords che si ingozzano e altre stranezze fra lo spettrale e l’avvincente. Le spettacolari Cascate Vittoria si trasformano fino a diventare le piscine private dei magnati che vogliono accaparrarsi tutto (The Pool Ahead, 2018).

Spettacolare il teatro meccanizzato in miniatura nella sala Black Box/Chambre Noire (2005), ove pupazzi meccanici appaiono e scompaiono dentro le ali delle quinte. Sul fondo scorrono disegni di tortura e terrificanti fotografie di caccia ai rinoceronti. Il titolo ricorda la scatola nera degli aerei per non dimenticare il periodo del dominio coloniale europeo e il genocidio tedesco del 1908 dei popoli Herrero e Nama (odierna Namibia). In Drawing Lesson 17, A Lesson in Lethargy (2010) l’artista duetta con se stesso, il suo Altro che non interagisce, non parla, non risponde; imperterrito, non si smuove dalle sue priorità e le sue domande rimangono inascoltate.

Nel film Ubu Tells The Truth (1996-97) si leggono le contraddizioni della modernità dopo l’elezione di Nelson Mandela (1994) e l’avvento dei nuovi regimi. Nel trittico video Notes Towards a Model Opera (2015) in sottofondo disegni, schizzi, libri contabili, antiche fotografie, il piccolo libro rosso di Mao, cartine geografiche e sequenze numeriche si muovono freneticamente sotto i delicati passi di danza della modella e le immagini degli eroi della rivoluzione culturale cinese, che sventolano bandiere e pistole, con l’unico canto autorizzato dal regime. In Carte Hypsométrique de l’Empire Russe (2022), grande tappeto in mohair e angora di pecora, colpisce l’immagine nera centrale della barca con migranti, ricamati sulla grande carta geografica, che evoca il fregio di Roma sul Lungotevere (Triumphs and Laments, 2016). Simbolismi e metafore, nel solco di uno storytelling che combina politica e poetica.

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